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Spaesati

Italiani in Südtirol

AutorLucio Giudiceandrea
VerlagEdition Raetia
Erscheinungsjahr2015
Seitenanzahl168 Seiten
ISBN9788872835500
FormatePUB
KopierschutzWasserzeichen
GerätePC/MAC/eReader/Tablet
Preis4,99 EUR
A oltre trenta anni dall'entrata in vigore dello Statuto di autonomia per la provincia di Bolzano, la comunità italiana in Alto Adige si trova al suo minimo storico quanto a consistenza numerica, forza economica, peso politico e influenza culturale. Una condizione solitamente presentata come il risultato di una sorta di rivincita attuata dalla minoranza nazionale tedesca in Alto Adige, che gestirebbe l'autonomia della provincia come una sorta di apartheid. Spaesati, Italiani in Südtirol presenta invece una lettura diversa, individuando le cause della decadenza del gruppo altoatesino nella storia politica italiana, a Roma come a Bolzano. L'ignavia politica di cui ha dato prova lo Stato alle prese con la questione sudtirolese ha pesantemente pregiudicato i rapporti tra i due maggiori gruppi linguistici in Alto Adige. I sudtirolesi hanno sviluppato una forte identità culturale e politica, rendendosi protagonisti di un'epica rinascita. Gli altoatesini invece, mandati nella nuova provincia da colonizzatori, sono stati abbandonati a se stessi quando le pressioni internazionali hanno costretto l'Italia a tener fede ai suoi impegni nei confronti della minoranza tedesca. Cause della debolezza del gruppo altoatesino sono inoltre le politiche dei diversi partiti, nessuno dei quali è riuscito a proporre un progetto credibile e percorribile di partecipazione al governo della provincia. Gravi insufficienze hanno dimostrato anche la scuola e l'informazione italiane, che non riescono a dare agli altoatesini le conoscenze e gli strumenti necessari per vivere in questa terra, lasciandoli appunto nella condizione di spaesati. Partendo dalla cronaca degli ultimi anni, il libro presenta una rassegna degli errori e delle insufficienze messe in campo dallo Stato italiano, dal mondo politico e cultura. È una rassegna paradossale, perché mostra che spesso coloro che proclamavano di voler difendere gli italiani, hanno lavorato in realtà contro i loro interessi.

Lucio Giudiceandrea è nato nel 1956 a Bressanone da una famiglia di origine calabrese. Laureato in filosofia, è autore di saggi, pubblicazioni e documentari televisivi di carattere storico e scientifico. Giornalista della sede Rai di Bolzano, segue con continuità la cronaca politica in Sudtirolo. Per diverse testate e rubriche giornalistiche realizza reportages nell'area tedesca e mitteleuropea.

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La débâcle italiana


I dati dei paesi sono i primi ad arrivare al conteggio ufficiale dei voti, quando ci sono le elezioni in provincia di Bolzano. Non perché gli scrutatori valligiani siano più diligenti di quelli cittadini, come si potrebbe insinuare. La ragione è un’altra, e cioè che in periferia i segni apposti sulle schede elettorali variano tra poche caselle. Il grosso va tradizionalmente alla stella alpina della Südtiroler Volkspartei, con margini in aumento per la colomba dei Verdi e per i simboli di altri due partiti tedeschi; le croci sulle liste italiane sono invece decisamente sporadiche. Diversa la situazione a Bolzano e nelle altre città in cui la comunità italiana raggiunge una certa consistenza. Qui i segni iniziano a sparpagliarsi su un numero maggiore di simboli e il conteggio si fa giocoforza più complicato.

Anche la mattina di lunedì 27 ottobre 2003, il giorno dopo l’elezione del Consiglio provinciale, i dati dei paesi sono i primi ad arrivare al calcolatore del centro elettorale allestito nella sede del governo provinciale, Palazzo Widmann, a Bolzano. Solo che questa volta la tendenza indicata dal cuore profondo dell’elettorato sudtirolese è tutt’altro che favorevole alla Südtiroler Volkspartei. I risultati diffusi dai primi notiziari radiofonici del mattino sono spietati: Bressanone: -7,5%, Brunico: -4,6%, Vipiteno: -6%, Lana: -4,7%. La SVP, che partiva da un grasso 56,6% dei voti, sembra sul punto di perdere la maggioranza assoluta. Crescono invece le forze di opposizione nel mondo sudtirolese. Più di tutti i Grünen/Verdi/Verc, poi altri due partiti, i Freiheitlichen e la Union für Südtirol, che la geografia politica definisce “di destra”: i primi con una certa ragione, la seconda con una certa forzatura. Nel suo primo commento di quella lunga giornata l’Obmann Siegfried Brugger riconosce la sconfitta della SVP, dicendo che occorre un profondo ripensamento del modo di impostare l’azione politica. In visibilio gli oppositori, che annunciano la fine dell’onnipotenza del partito che ha potuto legiferare e amministrare per decenni senza mai dover venire a patti con nessuno. La tanto auspicata democratizzazione della politica in Alto Adige-Südtirol pare finalmente compiuta.

A mezzogiorno e mezzo il Presidente della Giunta provinciale Luis Durnwalder, l’uomo che incarna il potere sudtirolese dalla fine degli anni Ottanta, arriva puntuale come ogni lunedì all’incontro con i giornalisti. La sala stampa è gremita, tutti aspettano un commento sul pesante salasso della Volkspartei. Il Landeshauptmann tiene in mano un foglio con poche cifre; mentre parla muove poco la testa, ma molto gli occhi; come sempre è sicuro del fatto suo. Ipotizza un calo del 4%, che in ogni caso consentirebbe al suo partito di mantenere la maggioranza assoluta. Ma aggiunge anche che la tendenza nelle città è tutt’altro che sfavorevole e che anzi c’è da aspettarsi un recupero per l’Edelweiß, la Stella alpina. In effetti, il quadro cambia notevolmente con l’arrivo dei risultati cittadini. Qui la SVP non perde affatto, ma anzi guadagna: Bolzano +1,7%, Laives +5,4%, Merano +3,1%, Bronzolo +5,5%. Nel primo pomeriggio due tendenze sono ormai evidenti. Primo: un generale aumento dell’astensionismo, soprattutto nelle città. Bolzano –7,2% di votanti, Laives –7,7%, Merano –5,5%. Secondo: la Stella alpina è ben lontana dal perdere la maggioranza assoluta, assestandosi al 55,6% dei voti. Rinviato il sogno di una democratizzazione della politica locale, si delinea invece un fenomeno che solo pochi, fino ad allora, avevano preso sul serio: un consistente voto italiano al partito di raccolta dei sudtirolesi. “Die Italiener retten die SVP”, “Gli italiani salvano la SVP”, recita il titolo molto azzeccato di un lancio dell’agenzia di stampa austriaca Apa nel pomeriggio.

Fissando gli schermi dei terminali con gli ultimi dati o masticando un panino al generoso buffet allestito in sala stampa, politici, giornalisti e curiosi intrecciano nuovi commenti. I più sono imbarazzati. Gli italiani faticano a spiegarsi il fatto che una quota significativa di elettori altoatesini abbia dato il proprio consenso a quello che è sempre stato presentato come il loro nemico storico. Per contro, gli esponenti della Volkspartei, pur soddisfatti del risultato complessivo, intravedono il pericolo che i voti degli italiani facciano perdere al partito, che si è sempre presentato come il difensore della minoranza sudtirolese, il suo carattere etnico. In altre parole: la sua ragione fondante. Tuttavia, non sarà neppure il voto “transetnico”, fenomeno ben diverso dal voto “interetnico” anche se altrettanto interessante, a dominare il titoli dei telegiornali della sera e dei quotidiani del giorno dopo. Nel tardo pomeriggio si precisa il quadro dei rapporti di forza tra i partiti disegnato dagli elettori. La SVP perde un punto, mentre cresce l’opposizione tedesca. Guadagna l'1,2%, arrivando al 6,8%, la Union für Südtirol, lista che fa capo a Eva Klotz e che da sempre si batte per la Selbstbestimmung, l’autodeterminazione dei sudtirolesi. Guadagnano il 2,5% i Freiheitlichen, che si richiamano all’omonimo partito austriaco portato alla ribalta internazionale e poi distrutto da Jörg Haider, conquistando il 5%. I rappresentanti della Union e dei Freiheitlichen festeggiano più di tutti quando si accendono le luci delle telecamere: un segno del fatto che quando gli elettori sudtirolesi abbandonano il vecchio partito di raccolta lo fanno per premiare anche partiti decisamente più “etnici” della SVP. Guadagnano l’1,4% i Grünen/Verdi/Verc, arrivando al 7,9%, ma la loro è una vittoria mutilata. Il partito che si era sempre proposto di superare le barriere etniche e che aveva come sempre presentato una lista comprendente candidati di tutti i gruppi linguistici, manda tre deputati al parlamento provinciale, tutti e tre sudtirolesi, ma boccia il capolista italiano: gli eredi di Alexander Langer hanno perso una fetta consistente della loro “interetnicità”.

“Sconfitto il voto italiano”, titola il giorno dopo il quotidiano “Alto Adige” a tutta pagina. Il dato è lampante: tutti i partiti italiani escono con le ossa rotte dalle elezioni del 26 ottobre 2003, con la trascurabile eccezione di due liste che si presentavano per la prima volta. Perdono i tradizionali alleati della Volkspartei. La lista Unione autonomista, che era riuscita a mettere insieme (quasi) tutto ciò che rimaneva della vecchia area democristiana, e la lista Pace e diritti, che era riuscita a mettere insieme (quasi) tutte le varie anime della sinistra. Nulla di nuovo su questo fronte. Da almeno vent’anni è una costante delle elezioni in provincia di Bolzano: chi governa con la SVP viene inesorabilmente punito dall’elettore altoatesino. Questa volta tuttavia c’è una novità, e di non poco conto. Perché questa volta anche per le tre liste del centro-destra c’è un segnale d’arresto. Alleanza nazionale, che dagli anni Ottanta raccoglie la maggioranza dei consensi del gruppo italiano, paga l’1,3%, scendendo a 8,4%; Forza Italia, nonostante massicci investimenti in pubblicità, perde lo 0,3% e si ferma al 3,4%; lo stesso vale per Unitalia, che non va oltre l'1,5%. I tre partiti coprono l’intero spettro del nazionalismo altoatesino. Ma né Unitalia con il suo tricolore, né Forza Italia che vanta sul piano locale un rapporto privilegiato con un personaggio di rilievo come Franco Frattini, né Alleanza nazionale con la sua svolta moderata avviata negli anni Novanta sono riusciti a mobilitare gli italiani. Di qui una buona fetta di astensioni, segno della stanchezza nei confronti di una politica che in mezzo secolo non ha saputo proporre altro che opposizione.

Il quadro politico uscito dalle elezioni è desolante per il gruppo altoatesino. Nell’assemblea provinciale i consiglieri italiani da nove si riducono a sette.1 Nel governo provinciale gli assessori italiani passano da tre a due, a fronte di un assessore ladino e otto di lingua tedesca, tutti targati SVP. “È il fallimento della politica italiana in Alto Adige”, nota un osservatore sufficientemente informato e che può permettersi un certo distacco come l’onorevole Gianclaudio Bressa.2 La conseguenza più tangibile di questi nuovi rapporti tra i gruppi linguistici è una sensibile riduzione dei posti pubblici che vengono assegnati secondo la “proporzionale” presente appunto in Consiglio provinciale. La conseguenza più significativa sul piano politico sta invece nella discrepanza tra la reale consistenza del gruppo italiano, fotografata nel censimento linguistico della popolazione del 2001 al 26,3%, e la sua rappresentanza politica, ottenuta sommando tutte le percentuali effettive delle liste “italiane”, scesa al 23,2%. Gli altoatesini si sono per così dire inflitti una perdita di tre punti. Nel governo e nei centri di potere della provincia, il loro peso effettivo, come tutti notano, è ancora minore. Ne fa tema di una tenace campagna giornalistica il quotidiano “Alto Adige” agli inizi del 2006: su quindici “poltrone dell'economia” in varie società, enti o associazioni controllati dalla Provincia autonoma di Bolzano, quattordici sono occupate da un presidente del gruppo sudtirolese e nessuna da un...

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